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di Tommaso Gorini e Francesca Cucchiara
A breve saremo chiamati a discutere della norma Salva-Milano in Consiglio Comunale. Rimanendo fermamente contrari a questa scelta, per le ragioni già espresse in precedenza, vorremmo aggiungere alcune note di merito anche alla luce della relazione fatta dal Sindaco in Commissione al Senato e al successivo dibattito: non solo perché crediamo siano stati tralasciati aspetti importanti, ma anche perché a partire da questa relazione è possibile aprire alcune riflessioni sull’approccio che ha guidato lo sviluppo urbanistico della città negli ultimi anni. Confinare la riflessione sull’urbanistica alla mera approvazione del Salva-Milano rischia di farci perdere di vista l'obiettivo: di non vedere le contraddizioni esistenti che le inchieste sull'urbanistica hanno sollevato e che, anche qualora la norma non venisse approvata, rimarrebbero comunque irrisolte.
Il sindaco ha affermato che il ricorso alla “ristrutturazione edilizia” ha permesso di utilizzare le volumetrie esistenti sviluppandole in altezza, recuperando suolo.
Su questo punto, il Sindaco ha ragione. Tuttavia, ciò che non dice è che la volumetria “recuperata” non corrisponde esattamente a quella reale, ma a una volumetria “virtuale”. La volumetria urbanistica, infatti, viene calcolata sulla Superficie Lorda (SL), che però non include diversi elementi architettonici come logge, portici, scale, seminterrati, balconi, spessore dei muri… Elementi che, sebbene siano esclusi dal calcolo, occupano materialmente spazio. La “ristrutturazione edilizia”, di fatto, ha permesso di recuperare molti di questi spazi, come sottotetti e seminterrati, che pur non rientrando nella volumetria virtuale, hanno contribuito a determinare il volume reale dell’edificio (nonché ad aumentarne il valore commerciale). Sommando anche le premialità volumetriche previste dal PGT o, più spesso, consentite da norme nazionali e regionali (a cui il Comune ha tentato di opporsi), gli edifici ristrutturati sono finiti ad occupare in media il 30-40% di volume reale in più rispetto a quelli preesistenti. Va poi chiarito che l’affermazione secondo cui lo sviluppo in verticale riduca il consumo di suolo non è sempre corretta. Alcuni edifici, come Torre Milano, sono stati dotati di box sotterranei, consumando e impermeabilizzando nuovo suolo, anche dove in superficie l’area risulta ancora “verde”.
All’accusa della procura sulla mancanza dei Piani Attuativi, il Sindaco ha risposto che Il PGT, mappando in anticipo e nel dettaglio il territorio, i servizi presenti e i bisogni della popolazione, rende ridondante il ricorso ai Piani Attuativi (PA) nella maggior parte dei casi previsti dalla legge, mantenendolo obbligatorio solo in casi specifici, come per aree superiori a 20mila mq di superficie territoriale.
Se pure è vero che i casi in cui è richiesto il PA sono previsti dal PGT, la mappatura puntuale del territorio attraverso i piani d’area è lontana da essere completa e non è vero che sia il Consiglio Comunale ad approvare i piani, bensì la Giunta, come stabilito dalla Legge Regionale 12/2005. Il Consiglio può invece intervenire in casi eccezionali, cioè quando i PA introducono varianti agli atti di PGT (art. 14 LR 12/2005).
Senza addentrarci negli aspetti legali relativi all'interpretazione della norma (su cui si pronuncerà la Magistratura) riteniamo sia opportuno avviare una discussione in Consiglio per rivedere parametri, come il limite dei 20.000 mq, che risultano ormai superati.
Considerando poi che la funzione del PA è quella di analizzare puntualmente se vi siano delle modifiche del carico urbanistico, crediamo che i parametri da tenere in considerazione non dovrebbero essere esclusivamente di natura volumetrica: andrebbero considerati aspetti differenziali sulla destinazione d’uso e il carico urbanistico effettivo, ad esempio: quanti nuovi abitanti porta un intervento edilizio, qual è l’utilizzo dell’edificio (se residenziale, industriale, sociale etc…)
Il Sindaco ha giustificato l’interpretazione estensiva delle norme sull’urbanistica con la necessità di sveltire le procedure burocratiche al fine di accelerare la rigenerazione urbana.
Che questa impostazione abbia accelerato lo sviluppo urbanistico della città e rigenerato spazi abbandonati, è un dato di fatto.
Tuttavia, l’accelerazione della rigenerazione urbana non è necessariamente un bene per la comunità. Se non accompagnata da adeguate misure sociali, può generare effetti negativi sulla popolazione, come il rincaro dei prezzi delle abitazioni. Il fenomeno della gentrificazione – ovvero la progressiva espulsione delle fasce sociali meno abbienti verso le periferie o fuori dalla città – è stato, in parte, conseguenza di uno sviluppo urbanistico che non ha tenuto conto delle ricadute sociali. Piuttosto che continuare a incentivare un mercato che è già decollato - quasi il 50% degli investimenti immobiliari in Italia atterra su Milano - bisognerebbe invece introdurre nuovi meccanismi di controllo, evitando che questo spinga al rialzo i prezzi delle case. Ad esempio, richiedendo la realizzazione di nuova edilizia popolare come standard urbanistico per nuovi interventi edilizi.
Il Sindaco chiede l’approvazione del Salva-Milano per sbloccare un mercato immobiliare la cui flessione ha portato al mancato incasso, stimato, di 160 milioni di oneri di urbanizzazione.
Se questo può sembrare un problema, il problema ancora più grande è il sistema alla base. Nel momento in cui gli oneri di urbanizzazione diventano essenziali per l’equilibrio del bilancio comunale, significa che l’amministrazione finisce per dipendere dalla realizzazione di nuove costruzioni per reperire le risorse necessarie. Per questo, riteniamo che il dibattito sugli oneri debba superare lo stallo attuale – da un lato il sindaco che lamenta un mancato incasso, dall’altro i critici che lo accusano di non averne richiesti abbastanza – e concentrarsi sulle reali incongruenze del sistema. È giusto che una città dipenda economicamente dal cemento, o è possibile individuare nuovi meccanismi di finanziamento in grado di rispondere alle esigenze della collettività senza compromettere il territorio?
Alla preoccupazione che il Salva-Milano contribuirebbe a una deregolamentazione urbanistica su scala nazionale, il Sindaco ha risposto che i Comuni potranno sempre intervenire con norme più stringenti nei PGT.
Se pure è vero, come afferma il Sindaco, che è possibile per un’amministrazione adottare un PGT più restrittivo delle norme regionali o nazionali, è un dato di fatto che non tutti i Comuni riescono a dotarsi di un PGT dettagliato come quello che vorrebbe adottare Milano (che sta richiedendo oltre un anno di lavoro). Va poi detto che il settore delle costruzioni non ha lo stesso peso in tutti i Comuni. In un panorama che vede gli enti locali sempre più in sofferenza finanziaria - aggravata dai nuovi tagli del Governo - rinunciare alle opportunità economiche offerte dallo sviluppo immobiliare diventa difficile, anche quando questo danneggia pesantemente il territorio, come denunciano i dati sulla cementificazione nel nostro Paese. Crediamo perciò che l’impianto della normativa nazionale sull’urbanistica vada pensato guardando agli effetti sul Paese nel suo insieme, non solo dalla prospettiva di Milano, che in quest’ambito mantiene una sua specificità.
In conclusione
Il vero merito delle inchieste della Procura e del dibattito intorno al Salva-Milano è stato quello di portare finalmente sotto la lente della politica e dell’opinione pubblica il problema di una legislazione urbanistica caratterizzata da una stratificazione di norme che ha creato contraddizioni e lasciato spazio alle ambiguità. Quello che chiediamo ai Legislatori quindi è di non fermarsi al dibattito su una norma interpretativa che non serve e anzi potrebbe creare danni a livello nazionale ma di ripensare l’urbanistica a partire da alcune domande:
È giusto che i comuni debbano dipendere dagli oneri di urbanizzazione per poter mantenere in pari il proprio bilancio? È giusto che le volumetrie che la legge riconosce siano diverse da quelle che i cittadini vedono con i loro occhi? È possibile immaginare un nuovo modello di sviluppo urbanistico che sia realmente inclusivo sul piano sociale? Qual è il giusto equilibrio tra conservazione del suolo e intensità edilizia? Tra città verticale e orizzontale?
Volendo trovare risposta a queste domande, invitiamo chiunque vorrà - parti politiche, esperti e realtà civiche - ad un confronto costruttivo sul tema al fine di trovare nuove soluzioni vere a problemi indubbiamente complessi.
Come già anticipato, voteremo contrari all'odg sottoscritto da PD, Riformisti e Lista Sala che esprime sostegno all'approvazione del ddl "Salva-Milano". La norma “Salva Milano” non affronta i problemi dell'urbanistica, mentre consolida pratiche che a Milano stanno favorendo la speculazione e il consumo di suolo. Va detto però che anche qualora la norma non passasse il vaglio del Senato, molte delle incongruenze qui evidenziate rimarrebbero tali. Tutto ciò ci porta a concludere che il problema è molto più ampio e complesso ma richiede una soluzione (politica!) urgente per superare un modello di sviluppo urbanistico ormai non più rispondente ai bisogni delle persone.
*La volumetria urbanistica è definita dalla superficie lorda (SL) moltiplicata per l’altezza virtuale di tre metri. Quella che invece non viene conteggiata è invece la superficie accessoria (SA). Parliamo di un volume che può superare anche il 30% del costruito e che, tuttavia, non viene conteggiato nel momento in cui si definiscono gli indici e le volumetrie che possono essere utilizzate in una ristrutturazione o nuova edificazione, dove viene contata solo la superficie lorda (SL), cioè quella virtuale. Per capirci, demolendo un capannone di 1000 mq di SL (virtuale) si può ricostruire un condominio della stessa SL (virtuale) ma con l’aggiunta delle superfici accessorie, che possono far crescere l’edificio fino a 1300 mq (reali). Se a ciò sommiamo incentivi volumetrici (come le premialità previste dal PGT) il risultato è un aumento sostanziale delle dimensioni finali.
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